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la storia del'ancunetana in vernaculo
a cura de Pieru Rumagnoli

Per chi vole scrive a Piero questa è la meil: piero.romagnoli©fastwebnet.it

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Capitulo 30 - Senza suferenza nun ce gusta

 

Spesso mi chiedo, in che lingua parlo e in che lingua penso, in che lingua ricordo e in che lingua ragiono. Io parlo in italiano e penso in dialetto, di sicuro i pensieri più intimi li esprimo in dialetto. Certo, scrivere in dialetto, non è semplice: si fa fatica ad articolare le frasi, non si raggiungono le raffinatezze stilistiche che la lingua colta ti consente. Però i sentimenti veri di una vita, quelli che la rendono degna di essere vissuta, si esprimono con la lingua della tua infanzia, del tuo cuore e della tua memoria, non in quella dei tuoi studi. E per dare voce a un sentimento bello e costante della mia vita, io ho voluto usare il dialetto, facendogli invadere un terreno che è occupato abitualmente dalla lingua colta. Adesso però, all'epilogo di questa grande avventura più lunga di un secolo, vorrei ragionarci un po' sopra. Sognare e pensare in dialetto, ma ragionare e ricordare in italiano. Ragionare della mia squadra e di me stesso, perchè dietro l’attaccamento a quelle maglie c’è la storia di una persona che tutta la vita si è dibattuta fra le origini e il futuro, fra la Città e il mondo, fra la testa e il cuore.

 

 

Ntél’istate del 2009, dopu che l’Ancona era riuscita a chiapà al’ultimo segondo na salvéza aj sparègi che propio nun ce credeva nisciuno, i giurnali spurtivi s’era divertiti a fà quel che sapeva fà mejo, ciuè a scrìve sciapate. C’era chi aveva meso le squadre dela serie B in pusiziò de partenza, disegnate cume le utomobiline da corzza, col culore dele maje, e al’Ancona j’era tucata na machinéta roscia ntél’ultima fila!. Ma perché ce tratavane cuscì male? Era perché la Sucetà ciaveva poghi quadrini e alora era stati cunfermati parechi giugatori e ancora el mister Salvioni. E visto che sta squadra s’era salvata nun se sa come, e visto che Salvio’ era na perzzona modesta e tranquila, penzavane sti sapientoni, che st’ano miga jel’avriane fata!

L’amore per l’Ancona mi è sbocciato tardi. Da bambino, quando avevo sette-otto anni, l’età in cui un maschietto fa le scelte di tifo calcistico che in genere durano tutta una vita, ero rimasto affascinato dal grande Milan che vinceva le prime Coppe dei Campioni. Erano i lontanissimi Anni Sessanta, io ero il figlio di un ufficiale dell’Esercito e crescevo in mezzo ai soldati: centralinisti, autisti, attendenti, tutti figli del popolo che daranno un'impronta robusta e duratura al mio carattere. Parlavano di quella squadra con la maglietta a strisce sottili rossonere, che giocava in un grande stadio nella nebbia e incantava l’Europa battendo il formidabile Real Madrid e il mitico Benfica di Eusebio. Milano era già il centro del mondo per quel ragazzino che guardava lontano.

 

 

Salviò era n’omo de poghe pretese. Nun ce se pudeva scurdà che al’Ancona ce l’avevane chiamato quanto pareva tuto perduto, perché custava pogo, era disucupato e pudeva andà bè ancora in zzerie C. Abituato a giugà a modo suo e a méte in campo le squadre segondo un schema spregiudicato, sul campo ciaveva avuto ragiò, e era riuscito a salvà na squadra che pareva morta. Ma lù, tanto era n’alenatore spregiudicato quantu era na brava perzona fòri dal campo. Bergamasaco de Gorlago, ciaveva de quela gente el zzenzo pratigo, la mudestia e la religiosità (era unu che andava a messa tute le dumenighe... e ancora Lassù defati, s’erane mesi na mà ntéla cuscenza...). Lù e ‘l diretore tenigo Larini erane cume na perzona sola: andavane d’amore e d’acordo e le decisiò le pijavane sempre inzieme. E cul publico nostro, gente freda che se fa fadiga a andacce d’acordo, le robe era andate bè da subito. Era questo l’omo che vuleva la gente: aperto, schiéto, e sincero, n’omo cun poghi fronzoli, uno che andava in campo cula majéta o la tuta e no in giaca e cravàta. Uno che fin dala prima partita, quela vinta cul baticuore contro al Sassuolo, aveva fato capì che avria cumbatuto fino al’ultimo segondo.

Con l’Ancona era stato diverso. Non ero più un bambino ma già un ragazzo cresciutello. Il calcio mi piaceva, lo seguivo da anni, guardavo le partite con mio padre, anche lui appassionato e competente, la pagina sportiva era la prima che leggevamo del giornale. Ma era calcio ragionato, freddo, televisivo, giornalistico. A San Siro non ero mai stato. Mancava il contatto fisico con la squadra, mancava lo stadio.

 

 

E po’ c’era Petocchi, l’Aministratore Delegato del’Ancona, che de quadrini ce n’aveva poghi davero. Pogo amato dal publico perché nun era ancunetà (c’era stato adiritura un lancio d'ovi marci contro la machina sua), tirava avanti per contu suu. Certo, la Cità miga l’aiutava pe’ gnente: quantu se trata de critigà j Ancunetani è sempre in prima fila, ma quanto se trata d'oprì el portafoj scapa via tuti cume i bigàti quantu cendi la luce!

E pensare che lo stadio era lì, a due passi da casa. Dalla terrazza riuscivo a vedere uno spicchio verde del mitico Dorico. E col circolo del tennis, dove passavo pomeriggi interi, il Dorico addirittura confinava, con quel cancello sempre aperto, i gradoni di cemento, e quel muretto a cavalcioni del quale vedere pezzi di partita gratis alla domenica. Io mi sono innamorato dell’Ancona allo stesso modo in cui ci si innamora di una ragazza bruttina, cioè in modo travolgente. Erano gli anni subito dopo il terremoto e al pari della nostra Città anche la squadra risaliva lentamente dal disastro. Certo, non era la stessa cosa una squadra in Quarta Serie rispetto al grande Milan, però i giocatori erano lì, in carne e ossa, li sentivi urlare durante la partita. Era nato uno dei grandi amori della mia vita.

 

 

La squadra era pronta pe’ n’antra aventura senza avè gambiato gran che. Na roba sola c’era che era stata gambiata:la difesa. Quela, era stata gambiata tuta, purtiere a parte. Da Costa, dopu na stagio’ discreta, garantiva na certa sciguréza, ma tuti j altri era andati via, a cumincià dal capità Rizzato – na lagrimuccia, scì, ma in gambio era arivati quadrini e giugatori dala Regina: el centrale difenzivo Cosenza e n’inglesì biondo, difenzore ancora lù, che se chiamava Thackray....j inghelesi ancora nun ce l’emi avuti mai, ce mancava sti fjoli d’Albione... Po’ aveva pijato la via de Grosseto el brau terzì Turati, e s’era perzi ancora i dò centrali. La difesa nova se presentava con Milani e Zavagno ai lati. Chi era sti dò? Milani era na vechia volpe dela serie B che arivava dala Triestina, mentre Zavagno era uno che adiritura aveva giugato qualche partita in biancuroscio ntél’ano disgraziato dela segonda serie A, la stagio’ 2003-04. I fati del palò l’aveva purtato a Pisa dopu el falimento del’Ancona, ma adè invece era tucato al Pisa a falì e l’argentino era arturnato vulentieri. In mezo ala difesa, oltro a Cusenza che avémo apena dìto, se presentava Cristante, n’antro esperto dala B che veniva dal Mantuva. Tuta gente, se penzzava, che era vechiòta e dava pogo afidamento.

Non era contentissimo, mio padre, che frequentassi lo stadio, ma dopotutto il calcio me lo aveva fatto amare lui, che in tempi lontanissimi aveva giocato nella Vigor Senigallia e aveva tifato per il grande Genoa. Gli seccava un po’ che stessi dietro a una squadra di Quarta Serie, lui che aveva applicato i suoi comandamenti di promozione sociale persino al tifo, passando dal Genoa, al Bologna, alla Juve. Io invece ero fatto di un’altra pasta, e quando mi innamoravo di qualcosa era per sempre: è stato così per la donna, per gli studi, per gli sport praticati, per il tifo. Io sono uno affidabile, uno di passioni costanti.

 

 

A sti arivi de novi difenzori, s’era gionta qualche riserva che pudeva fà comudo: el giovane Mustacchio dela Samp, che era Naziunale Under 20, n’antro centrucampista giovane che veniva dai fjoli del’Inter e che se chiamava Gerbo; un difenzore che se chianava Pisacane (scì, oh, propio cume Pisacane che aveva scrito la puesia “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!...un tipo alegro, quelo!); dò atacanti, uno grande e grosso che se chiamava Gerardi e n’antro che era bulgaro (ancora i bulgari ce mancava ntéla culezio’!) e se chiamava Mirchev: aveva vuluto venì al’Ancona a tuti i costi e s’era meso in vista durante el ritiro.

I miei compari da stadio erano Alberto e Sisco. Adesso uno è magistrato e l’altro è professore, mentre io sono, per usare un titolo altisonante, l’Alliance Manager in una Multinazionale, però quella volta eravamo tre ciambotti che sedevano ogni due domeniche sulla gradinata del Dorico e non se ne perdevano una. Eravamo bravi ragazzi: passeggiate per il Viale, partite a biliardino, e stadio.

 

 

Cu sti quatro ciamboti. Salviò’ diceva d’esse a posto. Ubietivo unigo: la salvéza, se pussibile npo’ meno turmentata del’ano prima. La gente era talmente cuntenta dela salvéza de giugno guantata pela coda, che j’andave bè tuto. Certo ma prò che tanto tranquili nun pudeva durmì, i tifosi. Se penzava che sopratuto la difesa pudesse esse el punto debole de sta squadra, e defati in Copa Itaglia, in agosto, do partite, una vinta cul Perugia e una perzza cul Lumezzane (e ndò sta Lumezzane? diré vujaltri....vicino a Brescia, o sumari!), s’era visto che el giogo c’era, ma de dietro se balava la samba e la rumba e ‘l rock & roll!

E’ stato il periodo più bello, quello a cavallo fra gli anni Settanta e gli Ottanta. La Facoltà di Ingegneria mi apriva fronti nuovi, io che avevo studi classici alle spalle ma sognavo la tecnologia e gli Stati Uniti. Immaginavo il futuro senza aver ancora capito quanto fosse importante il passato. L’Ancona altalenava fra la C1 e la C2, ma il Dorico ribolliva di pubblico. Non c’erano gli ultras, non c’era tutta questa TV. Altro calcio, altra gente, altro mondo.

 

 

E cuscì, quantu era iniziato el campiunato, che cuminciava de fuga perché era l’ano del Mundiale, tre papine a Lecce e tuti a casa. La gente penzza che sta a cumincià n’antro calvario paro paro cume l’ano prima. Ma nunustante i tre gol pijati, l’Ancona miga aveva giugato male per gnente in Puja, e Salviò cuntinuava a dì che lù era sudisfato uguale. El bèlo è che ciaveva ragiò! Al zabito dopu, cula Salernitana, emi vinto per bè: do a zero, e gnente da dì, squadra ben mesa in campo e vitoria meritata. I primi gole del campionato purtava la firma de Colacone e de Zavagno: el primo pareva rinato, el segondo se capiva de che pasta era fato, sopratuto quantu se spingeva in avanti.

Ho conosciuto mia moglie sette anni prima di sposarla. Ve l’ho detto, sono un tipo affidabile: quando m’innamoro è per sempre. Una delle primissime cose che le dissi, e me lo rinfaccia ancora, era che per me poche cose al di fuori di lei erano davvero importanti, ma una aveva la maglietta rossa e la vedevo una domenica sì e una no. Mia moglie non ha mai capito niente di pallone, ma ha sempre rispettato le mie scelte: patti chiari amicizia lunga. Infatti sono passati trent’anni e andiamo ancora d’accordissimo.

 

 

E’ stata la partita de Bergamo che ha fato capì per bè che Salvio’ era uno che la sapeva longa. Io a Bergamo dagià c’ero stato poghi mesi prima a véde quel’incredibile 4-3 che ciaveva fato stà tacati aj sparégi....pudevo mancà stavolta, quantu ce meto mez’ora de strada a rivacce? Embè, e’ Stadio “Atleti Azzurri d’Italia” porta bè al’Ancona, che disegna na prova superba, na partita da leccasse i deti: tuto ntél primo tempo, vantagio su rigore de Mastro, radopio ancora suu, dopu che ‘l purtiere averzario ha respinto ala disperata su Colacone, gole de l’Albinoleffe, tris mazzacristiani de Colacone servito ala grande da Miramontes. L’Ancona gioga a memoria, senza prublemi, cià ripartenze mozzafiato, lanci ala brasigliana de De Falco, dò atacanti che se trova a ochi chiusi. Na roba da nun créde!

Fu quando andai a discutere la tesi di laurea che indossai la mia prima giacca. “Ma Piero, non ce l’ha una giacca?” aveva chiesto mio suocero quando si era reso conto che con sua figlia facevo sul serio. Eh no, non ce l’avevo: per me erano altre le cose importanti della vita. Guardate la laurea per esempio: tutti avevano al seguito fidanzate, genitori gongolanti, parenti. Io non ci avevo voluto nessuno: per me era ovvio laurearmi, non c’era proprio niente da festeggiare. Era un punto di partenza, non di arrivo. Io sapevo già dove andare.

 

 

E’ tuta n’antra musiga, st’ano, gente mia! L’Ancona se magna al’Empuli, na squadra tra le favurite, cul zzolito risultato al’inghelese che ce stàmi a fà l’abitudine. Sta squadra cià la carateristiga d’agredì l’averzario fin dal primo minuto, defati le reti ariva tute ntél primo tempo, e sò ancora i gemèli del gol Mastronunzio e Colacone a méte la firma: sti dò se trova che è un piacere! De Mastro cel zzapemi tuti quant’era brau, ma a Colacone, cusa j’avrà dato da magnà Salviò, che st’ano pare n’antro?

La nebbia si tagliava col coltello quando scesi dal treno. Adesso non ci sono più quelle nebbie, ma trent’anni fa era diverso. Mi impressionava quella scritta sinistra, sul muro di una vecchia casa: richiamava lotte proletarie, spranghe, morti da vendicare. Io ero un ragazzo di provincia, venivo per un colloquio di lavoro da un mondo ovattato, da una città di sole e di mare dove non succedeva mai niente. Era questa la Silicon Valley d’Italia? Sei proprio sicuro di volerlo fare, Piero? mi chiedevo ancora cenando da solo, a casa. Era quasi mezzanotte, ero tornato in Ancona con quel treno che avrei preso decine di volte. Mia madre mi aveva lasciato l’insalata di mare, non me la dimenticherò mai quella cena da solo. La scelta. La vita come poteva essere e la vita come sarebbe stata. Spesso è un niente a farti decidere fra di qua e di là.

 

 

Forzze a respirà pela prima volta l’aria fresca del’alta classifiga, al’Ancona che nun c’era più ‘bituata da ani, j’ha fatu male. Tant’è vero che dale dò trasferte cunzecutive de Padova e de Gallipoli ce semo turnati indietro a mani vòte. Certo che chi aveva fato i galendari: dò partite in tre giorni a mile chilometri de distanza!

28 giugno 1982. Senza ombra di dubbio, la data più importante della mia vita. Tutto si divide fra prima e dopo. Quel giorno io cominciai a lavorare presso la stessa Multinazionale dove lavoro ancora a distanza di più di un quarto di secolo, sempre della serie che sono affidabile. Un altro mondo.

 

 

C’è chi cumincia a penzzà che è finita presto la cucagna, e invece cume torna nte’ stadio suu l’Ancona centra n’antro risultato al’inghelese, che urmai pareva che c’emi fato l’abunamento al dò a zero in casa!. Stavolta toca al Modena, manco male cume squadra, ma Mastro è scatenato e fa un gol su azio’ e n’antro su rigore. L’Ancona cià dala sua la tranquilità: la squadra è molto mejo dele spetative, gioga senza badà tanto a fà i conti, segna parechio e fa divertì la gente. Certo, adè c’era da andà al’Ulimpigo de Torino e l’averzario era de queli che méte paura. I Nostri, ma prò, cul Toro ha sempre fato grandi partite e ancora stavolta miga se smentisce: subisce npo’ a metà ripresa, ma resiste, e po’ quantu manca poghi segondi al nuvantesimo, Schiattarella, che era entrato da pogo, induvina un gol incredibile che fa el giro de tute le televisiò: vede al purtiere del Toro fòri dai pali e da metà campo tira na palumbèla che va a fenì drento lasciando la gente a boca spalancata: che gol! Pecato che ‘l Toro ntél recupero fa in tempo a paregià, ma saria stato davero tropu a vince, e cumunque quel gol incredibile ciaveva mandato a tuti in brodo de giugiole. E già, perché ntél’Ancona de st’ano ancora le risrve entra e gioga bè da subito: Schiattarella pr’esempio tuto l’ano prima nun s’era capito de che pasta era fato, adè cià perzunalità, inventiva, ciarvèlo.

I primi mesi furono spaventosi, ero capitato in un luogo sconosciuto, in una terra ostile, fra gente di cui facevo persino fatica a capire cosa dicesse. Sei ore di treno al venerdì sera e altre sei ogni domenica sera. Chi è stato emigrante capisce. Ero un emigrante con la laurea invece che con la valigia di cartone, ma ho imparato il rispetto per chi sceglie la strada più difficile.

 

 

E’ tuta la squadra che è maturata rispèto al’ano prima! De Falco, pare n’antro: preciso, geometrigo, ilumina le partite cui lanci al milimetro. Se trova ala perfezio’ cul’altro centrucampista Catinali che macina ‘n palo’ dietro l’altro e se perméte finéze e colpi de taco da Brasile. Chi va ‘n pughéto a curente alternata è i do’ esterni, Surraco e Miramontes, ma prò la diferenza è che Salvio’ gioga molto de più suj esterni rispèto a cume faceva Monaco e quindi ancora sti dò diventa utilissimi a tuta la manovra

Quando te ne vai, se sei una persona intelligente capisci cosa hai lasciato. Valuti meglio che cosa vai cercando. Ma dei punti fermi devi averli. Un punto fermo era la ragazza che mi aspettava in stazione tutti i venerdì sera, un altro era quella vecchia signora con la maglietta rossa. Erano ancore di salvezza, bussole per non perdersi.

 

 

Per colpa dele Naziunali che impegnava ancora i giugatori de serie B, l’Ancona zompa la partita casalinga cul Piacenza, che de naziunali vari ce n’aveva tanti, e s’artrova a giugà la sesta partita su nove fòri casa. Ancora questo è ‘n capulavoro: un 3-0 senza discussio’ a Regiu Calabria! El publico calabrese fischia ai giugatori sui e aplaude a sta squadra che duveva esse ‘n materazo e invece è u’ schiaciasassi. E ama pò, i scherzi del galendario e dei rinvii ce meteva davanti adiritura tre partite de fila tute in casa! Era l’ucasio’ bona per fà el grande zzompo, e l’Ancona nun se la lascia sfugì: tre a unu al Frosinone, ex- rivelazio’ del campiunato che lascia el posto ala rivelazio’ vera, ciuè nialtri. Dò a unu fadigato al Piacenza, in 11 contru 9, roba che a mumenti ce paregiavane in dò de meno. Primo parégio interno, senza gol, cul Cesena che se dimostra na squadra cui fiochi, forzze mejo ancora de nialtri.

Io nella vita avevo sempre avuto un chiodo fisso: gli Stati Uniti. Colpa – no, merito! – di mio padre che mi aveva mandato alla scuola americana. Tre anni tra i figli degli Ufficiali NATO nei mitici anni Sessanta quando fra Italia e USA c’era un secolo di differenza, ti segnano per tutta la vita. Io sono cresciuto col cervello a stelle e strisce. E di quell’America ci si innamorava facile: John Kennedy e Joan Baez, i college e il Vietnam, We Shall Overcome e l’allunaggio, Time e Newsweek, i cinquanta Stati e la bandiera. Però alla domenica tutti al Dorico.

 

 

La classifiga adè fa girà la testa: dopu ‘l recupero cul Piacenza, i Nostri adiritura era andati in cima! Na roba che nun se vedeva dai tempi de Simoni! Po’, dopu el paregio interno cul Cesena, ce s’era sistemati in segonda pusizio’ dietro al lecce. La gente ma prò era tranquila cume la Pasqua, nisciuno se montava la testa e tuti vuleva bè a st’alenatore ruspante cul suriso sempre stampato ntéle labra. Tempi cuscì nun se vedeva da na vita, la curva canta “Questa è una malattia che nun va più via!”. La cosa che fa smatì de sta squadra è ‘l giogo. L’Ancona era ani che nun ce faceva vede un calcio cuscì spumegiante, cuj schemi, cula pala a tera, cule ripartenze travulgenti, cui lanci al cuntagiri de De Falco, e cun Mastronunzio che sta a diventà el mejo atacante de tuta la serie B. Tuto gira cume se deve, ogni partita te fa divertì fino al’ultimo segondo, ogni partita cumincia che nisciuno cià idea de cume pole andà a fenì e man mano che passa i minuti te fa penzzà che ce la poi fà ancora stavolta.

Se avevo lasciato la mia adorata città, se vedevo solo al fine settimana una ragazza a cui volevo un bene dell’anima, era solo per quello: per le stelle e strisce. “Se lei ama gli Stati Uniti” mi avevano detto al colloquio di assunzione “questo è il posto giusto!”

 

 

Forzze ce fà guasi bè a arturnà sula Tèra dopu la partita de Crotone: questi è calabresi de n’antra pasta rispèto ala Regina, e ce méte sotu per tuta la partita. I Nostri era riusciti a paregià, ma nun rège ntéla ripresa, e la scunfita è meritata. Miga fa gnente: s’artorna al Conero e se ricumincia cul’abunamento al’inghelese: do a zero al Vicenza, na partita fata bè, curata in tuti i particulari. Do gol int’ un minuto, a metà primo tempo, Mastro e Miramontes, gnente da dì, e Marcia del’Aida che se cuminciava a cunzumà el disco!

Quando non c’erano gli ultras, io c’ero. A vedere le trasferte dell’Ancona, quelle lombarde o emiliane. Capitava di tanto in tanto: a Monza, a Como, a Lodi, a Piacenza, a Legnano, a Reggio, a Modena..... Ero solo come un cane, non c’era la curva ospiti né i gruppi organizzati. A Monza, che da casa mia distava cinque chilometri, una persona gentile mi aveva chiesto se avessi “fatto tutta quella strada” per vedere una partita di serie C e si era tranquillizzato solo quando gli avevo spiegato che in realtà vivevo lì vicino.

 

 

La gente adè è propio curiosa da véde cume andarà a fenì el derby cui cuginastri asculani. L’Asculi nun è meso tanto bè in classifiga e dopu n’inizio brilante sta a precipità verzo el fondo. I Nostri invece è tranquili e nun ce fa caso a tute le dichiarazio’ de guera del pre-partita, ndò quei bifolchi ce pruméte burasca. E invece chi bala e po’ va a fenì a fondo è propio la barca biancunera, sepolta da tre gol intél derby più bulo da ricurdà, dopu quelo famoso de Perugia: i domila ancunetani arivati al Del Duca pare mati, questo è ‘l rigalo più bulo che jé pudeva fà Salvio’, pudria ancora fenì adè el campiunato che nialtri erimi cuntenti! Un trionfo, na squadra cula majéta roscia che domina in longo e in largo, el 3-1 finale è pure pogo rispèto a quel che se vede in campo! E’ ‘l Paradiso! Era 67 ani che l’Ancona nun vinceva a Asculi, sò robe da segnà ntél librò dj avenimenti storighi.

Mi sono sposato in Ancona, ovviamente. Sulle cose importanti della vita bisogna arroccarsi alle origini. Era sempre lei, la ragazza che aspettava in stazione. La prima volta che è andata a far la spesa in Brianza, quando si è trattato di pagare ha capito solo la parola “franch” e ha pensato, oddio qui anche la valuta è diversa.

 

 

Ma più bulo de tuti era el fato che, vincendo el derby e per de più fori casa, i Nostri era arturnati in testa ala classifiga. Bisugnava fasse dà ‘n par de pizzigoti ntj braci per verificà si erimi svej! E’ stato in quel mumento che ho penzzato, io che sguivo tute le partite del’Ancona in televisio’, che magari eraancora el caso de fasse mile chilometri per védela dal vero a sta meravija che stava a fà parlà de sé tuta l’Itaglia del palo’. E quantu me meto a sède ntéla gradinata mia e sento a cantà la curva, me se mischia el zzangue ntéle vene e penzzo, ma chissà chi me l’avrà fato fà de lascià sta gente fantastiga, sta cità e sta squadra che me scalda el core! Purtropo ma prò, de fronte ciavémi un Sassuolo che nun scherzava pe’ gnente, ancora che jé ne mancava sei. Sti diauli se porta in vantagio, li chiapamo, ce fàne tremà, ma po’ quanto Mastronunzio vola via al difenzore e mete drento el radopio, digo: “E’ fata, ancora stavolta!”. E invece no! In dieci, sti magnatori de turtelini ce paregia: cumplimenti, na gran bela squadra, e gnente da dì sul 2-2 finale

Burlington, Vermont, USA. La Brianza era quel che serviva per saltare da Ancona agli Stati Uniti. Un sasso in mezzo al guado per poter fare il salto da una riva all’altra. Era un sogno che si realizzava. Due anni, un bel pezzo di vita, là, dalla parte giusta dell’Oceano.

 

 

Na roba strana de sta squadra, è che quantu decide de pèrd,e el fà de brutu. Tute le scunfite arimediate fnora è meritate, dala prima al’ultima. E miga fa ecezio’ manco quela de Grosseto: la squadra è stanca, manca Cristante che è ‘l ciarvèlo de tuta la difesa, e se sente. Do a zero per loro e gnente da dì. Ma prò è do a zero per nialtri al ritorno al Conero, contro al Brescia: partita pogo bela, ma eficace: che gol quelo de De Falco, el segondo: se fà tuto el campo da solo, armane fredo davanti al purtiere e ‘l fà seco cume na sterlaca! E’ dicembre e la neve ferma l’Ancona in Veneto, a Cittadella, la manda a fà le vacanze de Natale in anticipo. L’unigo che jé dispiace è quel puréto de Thackray, che era pronto per giugà dal primo minuto, visto che mancava meza difesa. Ma tuti j altri è cuntenti perché sto rinvio ce faceva comudo .

Era il 4 ottobre quando vedemmo cadere la prima neve. Ci avevano detto che era freddo lassù nel New England, ma la neve così presto non ce l’aspettavamo. C’era un grande lago lì a Burlington, lunghissimo e stretto, e presentava paesaggi di una bellezza e di una tristezza struggente come li trovi solo in Finlandia. D’inverno gelava tutto e ci facevano l’ice fishing: un buco nel ghiaccio col trapano per prendere i pesci. A 17 sotto zero avevamo fatto una passeggiata sul lago e parlato con un pescatore: “Italy, oh yes! – aveva commentato – I lived in a city named Pesaro” Pesaro! Lassù!

 

 

Al’Ancona magnane el panetò cun gioja e sudisfazio’ de tuti quanti: sta squadra cià molti più punti de queli che perzino el più ciamboto infrà i sugnatori avria puduto penzzà a inizio stagio’. Tuto fila pel verzzo giusto, cume cunferma ancora la ripresa del campiunato dopu la sosta, cui Nostri che bate la Triestina per do a unu, e stavolta senza tanti meriti: è Mastro cun dò cigliegine che ce risolve i prublemi, el giogo ma prò nun è ‘n gran che, e è pure la prima volta che capita, de vince senza giugà bè. C’è qualcò che nun funziona, e defati a Mantuva, dala penultima in classifiga, sotu la piova a catinèle, i Nostri ntél campo pesante

Il calcio era un problema, da quella parte dell’Oceano. Internet non esisteva, RAI-USA lì non arrivava. C’era solo la TV degli immigrati italiani a Montreal. Notizie locali, echi dalla madrepatria, Campania Calabria e Sicilia, matrimoni nella comunità italiana, e alla fine “ecco i risultati della serie A”. Finché non scoprii la radio a onde corte! Con quella si prendeva il primo canale della RAI. Si intuiva, sarebbe meglio dire. Bisognava stendere il filo d’antenna in mezzo alla stanza, come fosse quello dei panni, e poi sperare. Andava e veniva. Alla fine non eri neanche sicuro di com’erano andate a finire, le partite.

 

 

In Ancona ha da venì el Lecce, adè. La squadra prima in classifiga, che al’andata ciaveva dato na bela rasagnulata quantu ancora la gente andava al mare e nisciuno s’imaginava quantu pudeva esse forte st’Ancona. Adè ma prò è diverzo: l’Ancona è segonda e cià la pussibilità da fà el zzompo e arturnà in testa n’antra volta. Quela sera de venardì, al Conero c’è più gente del zzolito. El primu tempo è uno dj mejo giugati dal’Ancona che s’artrova a memoria, fa girà la pala per tuto el campo, ce prova in tute le magnere, ma nun passa. De fronte nun c’è na squadra qualsiasi. E de che pasta era fati sti averzari, se capisce ntéla ripresa, quantu loru passa in vantagio e pe na diecina de minuti ce fà balà la samba. In quel mumento, la forza del’Ancona è stata quela da nun fasse travolge, perchè de sciguro el Lecce se stava a dimustrà la squadra più forte vista fino a quel mumento. A metà ripresa, quanto Schiattarella gambia marcia e fa partì ‘n cross dal fondo che a Miramontes jé chiede solo da esse meso drento, tiramo ‘n zzuspiro’ de sulievo. Lì s’è capito che pudeva bastà e andava bè cuscì! Ma la partita miga era fenita: pieno recupero, Mastro s’artrova solo davanti al purtiere de loro, se magna n’ucasio’ culussale. Sul contrupiede de loro ce n’è uno solo davanti a Da Costa che cu’ na parata miraculosa salva el risultato! Na partita cul finale mozafiato, ‘n paregio giusto, na gran bela Ancona per meza partita e na gran bela squadra el Lecce

“Siete fortunati che vi nasce nella bella stagione” disse il ginecologo a mia moglie durante l’ultima visita pre-parto. Erano gli ultimi giorni di aprile e fuori nevicava come a Natale: un modo elegante per prenderci in giro, a noi italiani! Lo avevamo sognato, voluto, cercato, un figlio in America, un figlio a cui dare quel passaporto blu che noi non avevamo e che ci sembrava un valore inestimabile. Eravamo fatti della stessa pasta, mia moglie e io.

 

 

Ntéla storia del’Ancona è capitato spesso che t’ariva na rasagnulata quantu meno te l’aspeti. Stavolta la batosta viè dala Lega Calcio, che fa sapé che ce sò iregularità aministrative legate al pagamento dj stipendi. Pudria dì qualche punto de penalizaziò: do? Tre? Quatro? Nun cel zza nisciuno. Certo, ma prò, che fa rabia, avecce na squadra cuscì brava e dirigenti cuscì ciamboti e cule peze ntél culu. D’altronde, dimola tuta: forzze che c’è stato qualche ancunetà dopu Schiavoni che cià vuluto méte i quadrini sui? Nisciuno! E alora queli che ciai te l’hai da tené!

La cosa più tremenda era che io non avevo mai visto l’Ancona in serie B, e proprio in quel leggendario 1988 Giancarlo Cade’ riusciva nella grande impresa. Forse è per questo che di tutte le straordinarie pagine di storia di questa squadra, la più grande mi è sempre sembrata quella serie B dell’88. Perché non avevo potuto seguirla passo passo. Sacrosanta vendetta del destino: tutto mi girava bene in quel momento, e allora facciamolo soffrire un po’!

 

 

 

 

Ala batosta legale jé viè dietro subito quela spurtiva: l’Ancona va a Salerno a giugà contro al’ultima in classifiga e riesce a fà ancora pegio che a Mantova: tre papine, squadra senza capo né coda, che pareva quela del’ano prima. Ma cusa sta a sucède? E’ tre trasferte de fila che ce famo infilzà cume j ucceléti: è na squadra imatura, se c’è tuta sta diferenza infrà el rendimento in casa e quelo esterno! Al sabito dopu c’è el ricupero dela partita de Cittadella che era stata suspesa pela neve prima de Natale: gioga meza serie B, ciuè tuti queli che duveva da recuperà, e ce n’era diverzi. L’Ancona finalmente gioga in modo discreto,e adiritura ntéla ripresa Da Costa, che cresce de partita in partita, se perméte ancora el lusso de parà a un rigore. Ntj ultimi minuti, l’Ancona prova adiritura a vince, ma perde ‘n palò maledéto a centrucampo quanto è el 93esimo e i veneti ce fàne gol: che sfiga!

“It’s a girl” commentò il ginecologo mentre me la tirava fuori. Gli Americani non le facevano se non in caso di necessità, le ecografie, e il sesso del nascituro era a sorpresa. Era Laura. Ma anche Vittoria. Mia moglie lo sapeva, quanto fosse importante per me quella serie B. Il secondo nome, sì, va bene: sarà Vittoria per celebrare quella grande vittoria. Laura V. Romagnoli, si firma ancora adesso al Consolato quando va a rinnovare il suo passaporto blu, mia figlia. Hanno il “middle name” , gli Americani, che sui documenti compare solo con l’iniziale. Ecco, quella V è per l’Ancona!

 

 

L’Ancona ha dato qualche timido segnale de ripresa, e forzze el pegio è passato. Ma miga cel zzapémi ancora, che c’èmi i leoni in campo! Cu’ na squadra gonfia de riserve, l’Ancona se presenta davanti al publico suu e dopo meno de un minuto dagià è soto de na rete contro al’Albino Leffe, che qul mato de Mondonico ha rigirato cume ‘n guanto e che adè è una dele squadre più in forma dela B. I bergamaschi pare che pòle ancora radupià de fuga, ma Da Costa se supera. E su corner perfèto de De Falco, el zzucò de Gerardi, riserva de Colacone, che è alto che pare nun fenì mai, buta drento ala rete palò e purtiere. Un primo tempo al’arma bianca, sia l’Albino che nialtri ciavémo diverze ucasiò de segnà, po’ a inizio ripresa el nostro Zavagno sbate per tèra n’atacante averzario cume ‘n folpo: espulzo perché era l’ultimo omo! Ma quanto pareva che la barca pudesse andà a fono, Mastro s’inventa omo-assist e serve int’un piato d’argento un palò a Miramontes che dumanda solo da esse meso drento, soto la curva nostra che schiopa cume na pentula a pressiò! El finale è da brividi: l’Albino Leffe che cià n’omo de più nun ce sta a pèrde, e ataca a testa bassa, pare l’assalto de Fort Apache, ma i Nostri se difende cul’ogni e cui denti e rischia ancora de fà el terzo gol in cuntrupiede....inzzoma na partita entusiasmante! Fenisce dò a unu per nialtri: na squadra cul core, ha giugato cun tante riserve: da Gerardi, a Thackray a Camillucci a Gerbo a Pisacane: tuti ragazi che s’è fati truvà pronti quanto serve . E’ questo che dà gusto ala gente Nostra! A fine partita Mondonico dirà “I nostri ciàne avuto spirito de cumbatimento, ma nun basta: quelo che vuria véde io è e’ spirito che cià l’Ancona!” Grazie, Mondo.

 “Piero, ma dove mi hai portato?” e dire che eravamo lì da oltre un anno. Quel faro del traghetto col rompighiaccio illuminava la distesa desolata del lago gelato, un paesaggio spettrale. Io lo sapevo che me lo stava dicendo con gioia. Anche lei in fuga, come me. A cercare un altro mondo, e quello era davvero un altro mondo.

 

 

Solo che ‘n conto è l’Ancona quantu gioga ia casa e n’antra roba è l’Ancona da trasferta, che è da diverzo tempo che nun taca più ‘n chiodo. E’ diverza dal’Ancona del’ano prima, quanto apena pijato ‘n gol ce se lasciava andà...adè l’Ancona i gol li pija e li fa, solo che se scopre de brutu. Va a fenì cuscì ancora a Empoli ntél’anticipo del venardì sera: quinta scunfita esterna cunzecutiva e 0-3 finale. In cinque trasferte, i Nostri nun è riusciti a fà manco na rete, e invece n’ha pijate na muchia. Prucupante. E quel che è pegio è che adè ariva la partita da giugà ntéle scrivanie dela Lega de Palò. Inté sto campo qui ce mandamo a giugà l’aucato Malagnini, che infrà le scartofie se dimostra ancora più brau de quel che è Mastronunzio cul palò: la memoria difenziva del’Ancona è ‘n capulavoro e l’Ancona chiapa solo un punto de penalizazio’. Tuti se spetava na rasagnulata e invece è andata propiu bè! Certo che fà i punti cuj aucati invece che cui giugatori, era n’esperienza che nun l’emi fata mai, ma sicome noi d’Ancona nun ce famo mancà gnente, ancora questa emuzio’ l’emo vuluta pruvà!

I binari. Tutta la mia vita scorre sui binari. Infatti mia madre ha conosciuto mia figlia in stazione. Tornavo da un altro continente, con una figlia nuova: solo lì, solo alla stazione che era la frontiera tra il passato e il futuro, potevano conoscersi, nonna e nipote.

 

 

E cuscì ai Nostri nu jè andata manco tanto male, e s’aritrovane sempre in zona pleioffe. Adè c’è do partite da giugà in casa, una de fila al’altra. La prima è cul Padova, na squadra che aveva cuminciato bè, ciaveva avuto na grossa crisi e adè è in ripresa. Tanto in ripresa, porca mastèla! che ala fine del primo tempo senza manco capì né come né perché, semo sota de do reti. Pare che è arivato el mumento dela prima scunfita interna, e invece miga è vero! La “vipera” Mastronunzio, che come tuti i serpenti d’inverno va in letargo, se sveja al’impruviso e mociga a tuti: prima chiapa el palo, po’ fa un gol ala maniera sua, purtandose a spasso tuta la difesa, po’ ne fa n’antro ancora più bulo, e ala fine stava per segnà adiritura quelo dela vitoria. Fenisce 2 a 2 ma è cume se fosse na vitoria: ma che caratere che cià sta squadra quanto gioga davanti al publico suu! Subito dopu toca al Gallipoli che pareva ‘n branco de mati in preda a na crisi de nervi. Senza giugà né bene né male, l’Ancona s’era artruvata in undici contru nove e alora in tuto relax aveva fato tre gole. Ala fine quei ciamboti armane adiritura in oto e alora i Nostri, che sò Signori ntél’anima, j’aveva fato fà el gol dela bandiera. Na bela vitoria tranquila e rilassata, forze era la prima volta che capitava st’ano....

“Ma davvero siamo in serie B?” avevo chiesto ad Alberto, seduto sui gradoni del Dorico. Non potevo crederci. Venivo via da un lago ghiacciato e tornavo nella mia culla. Era quello che avevo sempre voluto, il passato e il futuro che si toccavano ignorando il presente. Meno male che c’era il Dorico, altrimenti cosa ci avrei fatto sulle rive del lago? E quella era la mia squadra, quella era la serie B che non avevo visto mai.

 

 

Vitorie in casa, tante. Ma è fori che se cuntinua a nun tacà ’n chiodo. L’Ancona de Salviò, tuta diverza da quela de Monaco del’ano prima, int’una roba jé sumija de brutu: in tute le partite che sta a perde de fila fòri casa. Monaco era arivato a sete scunfite cunzecutive fòri, Salviò toca la sesta a Modena, ndò i Nostri se sveja solo dopo avé pijato dò gol, ne fa uno con Colacone ma nun basta. E per de più, la Lega ha fato ricorzo contro al punto solo che cià levato cula penalizaziò e ce ne leva n’antro. Tuti sta per métese el core in pace: è inutile penzzà ai pleioff e, cume ha dito Salviò fin dal primo giorno, bisogna penzzà solo ala salvéza. Sta pr’arivà al Conero el grande Torino che è in ripresa dopu ‘n periodo brutu nbel po’ e sta a bussà ala porta del’alta classifiga, e tuti penzza che sta squadra Nostra se squajerà cume ‘n gelato. E invece, n’antro rugito da leò! I Rosci pija el Toro pele corna e int’un’ora de giogo-super, sta a vince dò a zeru. El gol del Toro riacende na partita che dagià era acesa per contu suu: se finisce in dieci contru nove ma i granata nun passa. Che vitoria!

 “Cusa l’è quela squadra qui, il Torino?” mi avevano chiesto durante il turno di notte. Ero tornato, ero nella mia fabbrica, ero il loro Capo. Che strano però, quel Capo che invece dei manifesti aziendali nel suo ufficio teneva il poster di un giocatore che esultava in maglia rossa. Poi andavano a leggere, c’era scritto “Ancona Calcio, promossa in serie B”. Tu non sei come gli altri Capi, mi dicevano gli operai. Ed era bello sentirselo dire.

 

 

Urmai è sempre cuscì: l’Ancona esce da casa sua e nun se ricunosce più. Senza giugà manco tantu male ma riuscendo a tirà in porta pela prima volta solo dopu 77 minuti, i Nostri se fàne bàte ala sera de venardì per 1-0 al “Garilli” de Piacenza, da na squadra de segonda fila. Salviò ha fato pari cul record pogo invidiabile de Monaco: sete trasferte de fila tute perze! E mentre prima l’alta classifiga stava ferma perchè tuti stava a fà el passo del gambero, adè invece lassù in cima se svejane. Urmai l’Ancona è sesta urmai ai margini dela zona-pleioffe: forze ciàne ragio’ queli che dice che è mejo penzà a salvasse de fuga! No forze....de sicguru! Perchè capita ancora che i Nostri perde l’imbatibilità casalinga che durava da aprile del’ano prima! Sucède tuto al’ultimo minuto cula Regina, quanto tute e dò le squadre stava pr’andà a fà la docia cuntente del pari pr’unu a unu. Aveva giugato mejo la Regina, che se faceva fatiga a capì cum’aveva fato a fenì cuscì in basso ntéla classifiga, ma Mastro aveva fato paro e l’Ancona quela sera più de tanto nu jéla guantava. Invece in pieno recupero a un giugatore dela Regina j’era venuto in mente de métese a scartà tuta la difesa, e ‘l bèlo è che c’era riuscito! Arivato a tu per tu con Da Costa, aveva pure fato gol e cuscì era cascati baraca e buratini. Che disastro!

Era stato un sergente di Marina prima di venire nella Multinazionale. Infatti sapeva fare tutto, sapeva usare le mani e il cervello, sapeva ubbidire e comandare. Fu lui a tirarmi fuori dalla riunione: “Capo, esci subito da lì: hai un buon motivo per farlo. Continuo io al tuo posto!” Quel pomeriggio, Paolo ci aveva messo solo un’ora e mezzo a nascere, mica come la sorella che ci aveva impiegato una giornata intera. Però lui era nato a Vimercate, non a Burlington. Né anconetano né americano, poverino. Però anche lui era nato nell’anno giusto. “Come il grande vescovo di Torino” aveva commentato don Alfonso Baccarani, parroco del Sacro Cuore, mentre lo battezzava con Massimo come secondo nome. E mica potevo dirgli che invece era per celebrare l’ingresso nella massima serie!!!

 

 

Cun dò trasferte de fila, adè nun c’era da stà per gnente tranquili. Al Conero s’era intesi i primi fischi, e pareva de capì che ancora nté spujatojo l’aria che se respirava nun era tantu bona. E per forza! Si a te nun te pagane da utobre e sémo a marzo, tanto cuntento nun pudrai esse, ancora si e’ stipendio tuu è diverzo da quelo de uno che fadiga al Cantiere! Invece, proprio in trasferta i Nostri dà n’antra dimustrazio’ de curagio, prima strapando un punto manco tropu meritato a Frosinone, e po’ invece andando a giugà na partita favulosa ntéla tana del lupo al Manuzzi de Cesena, teatro de cento bataje biancurosce: dò minuti e Miramontes induvina na punizio’ cul cuntagiri. Po’ na partita intiera a difèndese cume leoni, e ala fine qul diaulo de Surraco scapa via ai difenzori e viè sbatuto per tèra cume ‘n folpo: rigore! Mastro nun sbaja e va a festgià ala maniera sua sotu la curva piena de mile tifosi biancurosci. A proposito de Mastro: l’altra sera sentivo el cà nostro che runfava beato e digo a mì moje, chissà, magari adè se starà a sugnà n’osso. E lia risponde: te alora ieri nòte a chi sugnavi? A Mastronunzio che core a festegià sotu la curva?

La serie A a me sembrava quasi normale. Innanzitutto perché stavolta c’ero e l’avevo vissuta domenica per domenica. E poi perchè l’impresa da leggenda era stato il ritorno in B dopo più di trent’anni. Una volta fatto quello, tutto era possibile. Certo però, che un figlio ad ogni promozione era un bel colpo!

 

 

La vitoria de Cesena è propiu la surpresa ntél’ovo de Pasqua. I Nostri festégia la Risurezio’ propiu cume el Padreterno! Quanto nisciuno jé dava più na lira de fiducia, sta squadra ha saputo tirà fòri na partita perfèta!Ma prò “el destì aveva fenito la benzina” cume diceva n’amigo mio, e da sto mumento in avanti quel che spetava ai Nostri era na parabula discendente da méte paura! Inanzituto, la segonda de tre partite interne disastrose, quela cul Crotone, giugata bè e perza male. Po’ arivava un bel paregio a Vicenza, dò a dò dopu esse stati in vantagio per dò a zero al’intervàlo, ma dopu avé rischiato ancora de pèrde ala fine. Ma la mazzata spaventosa duveva da esse l’incredibile derby de ritorno, cul’Asculi che se presentava da nialtri senza prublemi e senza paura, na squadra rimesa cumpletamente in sesto dal brau alenatore Pillon. In svantagio ala fine del primo tempo, i Nostri se buta in avanti a testa bassa e parégia al Nuvantesimo cu ‘n colpo de testa de Cristante che fà venì giò la curva. E la beffa atroce è che, pala al centro, e quei maledéti biancuneri trova el gol del vantagio, Na beffa spaventosa, l’abandono dei sogni de gloria, e na batosta pissiculogiga tremenda! Na partita fenita in otu contru nove e i cugini che fà festa in casa nostra!

Quando il Genio d’Ungheria devastava la difesa dell’Inter, ho pensato che c’era qualcosa che non andava. Lesa maestà, confusione di ruoli. Non ci ero andato a quell’inaugurazione, avevo da fare. Mi ero sdraiato sul letto e con gli occhi al soffitto, invece di esultare pensavo a dov’era la nota stonata. Non in quello stadio nuovo e bellissimo, non in quell’ungherese da leggenda che indossava la maglia rossa, non quel pubblico impazzito che sotto il diluvio vedeva i sogni diventare realtà. La nota stonata ero io, che cominciavo a non capire più dove finiva il passato e dove cominciava il futuro.

 

 

Le ultime sei partite del’Ancona sò na suferenza, che ce stava per purtà dai sogni de gloria al’orlo del pricipizio. Ma andamo cun ordine: acantunati i sogni de gloria, i Nostri penzza de purtà a casa in pogo tempo almeno quei poghi punti che serve pela tranquilità, ma a Modena contru al Sassuolo, cula difesa a pèzi pele varie squalifighe, se chiapa ‘n gol ntél primo tempo e nun c’è più gnente da fà. Cul Grusseto se pudeva pijà tre punti, e invece ce se deve acuntentà de unu solo, perché a poghi minuti dala fine i tuscani paregia. A Brescia nun c’è partita, 3-0 pele “rundinèle” e tuti a casa. In casa cul Cittadella, pareva la volta bona dopu el gol de Mastronunzio, arturnato in campo dopu 3 turni d’assenza pr’infurtunio. E invece i Veneti prima ce ragiunge po’ ntél zegondo tempu se porta adiritura sul 3-1, e nun basta el gol finale de Miramontes. A Trieste ce se méte l’arbitro, che al 94 esimo sul’1-1 s’inventa un rigore contru l’Ancona che grida vendéta.

Non era una cosa seria. Alberto e Sisco lì, sotto la Galleria del Duomo, non sui gradoni del Dorico. Due sciarpe al collo, quella biancorossa e quella rossonera. Una festa. L’Ancona gocava col grande Milan, noi andavamo a San Siro e però mi veniva da ridere. E pensare che la mia prima volta a San Siro non era stato tanto prima, quando universitario per festeggiare un 28 ero andato a vedermi una partita di Coppa. Ma quella era stata una cosa seria, questa no. Che ci faceva l’Ancona a San Siro? Non si mischiano certe cose!

 

 

Pare incredibile. La situaziò in coda è spaventosa: a parte la Salernitana e el Gallipoli che già è retrucessi, ce stàne otu squadre che se giogane ntél’ultima dumeniga: l’ultima retrucessio’ dirèta, i dò posti pr’i playout, e 5 posti-salvéza. Ma de sti 5, almeno 3 già è prenotati, da Modena, Vicenza e Reggina che cià averzari senza nisciuna mutivaziò. Visto cume giugàmi d’inverno, nisciuno avria penzato da véde un finale de campiunato cuscì, cul’Ancona che se gioga tuto ntél’ultima dumeniga!

Il pallone rosso, il campo tutto bianco. La neve che ricopre il paesaggio. Era stata questa la “mia” inaugurazione, la “seconda” invece della “prima”. E sempre quella sensazione di disagio. Questo stadio, così bello e così lontano, non era il mio. Nulla di normale, nulla di consueto. E sul treno che attraversava l’Emilia piena di neve, riflettevo su quando ogni cosa sarebbe ritornata al suo posto.

 

 

Ma i tifosi del’Ancona cel zzà, che nun è pussibile vulé bene a sta squadra senza sufrì. Senza suferenza, a nialtri nun ce gusta. C’è chi ripenza al’incredibile retrucessiò cul Grosseto del 1977, chi se ricorda quela volta che sémo retrucessi dopu esse stati in testa...inzzoma, la storia nostra è piena de cadute in verticale, de precipizi spaventosi.

La Fabbrica non c’era più. Venduta. Le persone, vendute come vacche in una fattoria. Io no, e non sapevo come dirglielo ai miei ragazzi: loro cambiavano società e io no. Io cambiavo lavoro e restavo, loro continuavano a fare quel che avevano sempre fatto e cambiavano padrone. Stava affondando il Titanic e io ero uno di quelli che aveva trovato posto in scialuppa.

 

 

El galendario ce s’è meso ancora lù a fà no scherzo al’Ancona, metendoje contru al’ultima giurnata el Mantova che è disperato e deve assulutamente vince per sperà de salvasse. Pr’una serie de ragiunamenti che faria smatì a Einstein, l’Ancona saria matematigamente salva cun un punto, e ancora perdendo pudria sperà in risultati luntani, npo’ cum’era successo a Bergamo l’anu priuma, che c’erimi salvati grazie a ‘n gol segnato a 300 km de distanza.

Quando ci fu il celebre gol al 117esimo minuto, ero in treno. Eh già, io sono sempre in treno, tutta la vita da Ancona a Milano. Una volta avevo fatto un conto approssimativo di quanti giri del mondo potevo aver fatto su quella linea. “Ce l’avete fatta” disse mia moglie sul cellulare. Avete, non abbiamo: sono cose mie, lei lo sa e mantiene le distanze. Però sa anche quanto sono importanti. Non mi raccontò dei supplementari, me lo disse solo la sera, a casa. E pensare che invece aveva seguito tutto, e non aveva voluto dirmelo, che erano andati in vantaggio loro. “Sarebbe stata una cattiveria dirtelo, tanto lo sapevo che in un modo o nell’altro ce la facevate”. Anche questo è amore.

 

 

Prezi pupulari, se gioga de dumeniga, l’Ancona chiede al dudicesimo omo de entrà in campo ancora lù e de fasse sentì. E cume in tuti i mumenti dificili, el grande publico nostro nun se fa pregà, lascia da parte rancori, rabiature e dubi e ariva a’ stadio, tuti vestiti de roscio. Setemila cori biancurosci a bàte fino al’ultimo ntéla suferenza finale.

Adesso è più vicino il Ritorno. Prima ci pensavo soltanto a freddo. Non posso morire qui, pensavo, alla fine tornerò. Ma era solo un’idea. Adesso invece è un conto alla rovescia. D’altronde, se quando torni in Ancona ti parlano anche i muri e invece qui, sì e no che dici buonasera al vicino, devi fartene una ragione. Hai avuto tutto quel che volevi, cos’altro vai cercando? Di obiettivi seri nella vita te ne è rimasto solo uno: tornare.

 

 

Ce sò anch’io. Io che me devo fà mile chilometri per vède giugà i Nostri, io che pudevo restà tranquilo davanti ala televisiò. Ma cume fai a mancà in sti mumenti? Paluncini bianchi e rosci che bàla ntéle mà dela gente. Ma na strìza che te porta via, na tenziò che se taja cul curtèlo: la fabrica delo stress, è diventata sta squadra: è quatr’ani che andamo avaanti cuscì, sempre le partite decisive al’ultimo segondo, mai na volta che se pudesse stà tranquili!

La differenza l’ha fatta il sito. Agli albori di Internet avevo digitato la parola “Ancona” e il motore di ricerca aveva trovato qualche decina di siti. Però era stato così che avevo scovato il sito: www.anconanostra.com . Era di poesia dialettale e lo teneva un certo Sauro Marini. L’idea di farlo tutto in dialetto e di occuparci di cento altri argomenti inerenti la città fu mia, però. Eravamo complementari, Sauro e io: lui ci metteva la capacità tecnica in HTML e le poesie vernacolari, io invece avevo finalmente l’opportunità di far uscire tutto ciò che in vent’anni avevo accumulato: storia della Città, libri su Ancona, cartoline d’epoca. E soprattutto, l’amore per la Squadra. Senza il sito, non sarebbe mai nato l’esperimento, non sarebbe nato questo libro.

 

 

Nun ce ne fosse stato uno, che quanto el palò ha rimbalzato sula schiena del purtiere del Mantova dopu che Mastronunzio l’aveva tirato sul palo, avesse penzato, menumale adè è fata. Nisciuno. E quantu ala fine de ‘n primo tempu ndò i Nostri s’era magnati tre o quatro gol, el Mantuva segna ala prima ucasiò, eca che quel brivido che i tifosi ancunetani cunosce bè, sfila giò pela schiena dei setemila.

Il passato e il futuro. E’ sempre lì che tornava il pensiero. Il presente non conta, non c’è, non val la pena. Certo però che adesso si sono rovesciati. Ancona era il passato e adesso è il futuro. Il passato invece è in quello stabilimento che ormai non c’è più. In mensa li rivedo ogni tanto, i miei ragazzi. Mi chiamano ancora Capo, mi salutano come se li avessi lasciati ieri: tu non eri come gli altri Capi! Sono queste le cose che danno un senso al passato.

 

 

El zegondo tempo de Ancona – Mantova cià la carateristiga de cundenzà in nuvanta minuti, centodieci ani de storia de sta squadra. Famo finta che uno che nun sa gnente de Nialtri, ne vuria sapé npo’ de più: bastava faje véde quei 45 minuti che avria capito tuto. In quel zegondo tempo c’è tuto: la suferenza, la follia, la rabia, la capacità de reaziò, el trionfo.

“Non hai mai pianto di gioia neppure per la nascita dei nostri figli, non vorrai mica farlo per una squadra di calcio”. Una sola volta mi ha beccato, alla prima serie A, con le lacrime agli occhi, mica se lo immagina quante volte mi è successo. E mica pensa che non è per il calcio e non è per la gioia. E’ per la mia vita, per la memoria, per le mie fughe, le mie inquietudini. Quanto sarebbe stato più semplice far la vita di tutti, vivere dove sei nato, avere le tue amicizie, il tuo giro, il tuo ceto. E invece no, te le sei andate a cercare. Sempre la strada più difficile. E poi quando hai paura, ti aggrappi ai ricordi.

 

 

El Mantuva che deve vince per forza, cumincia in avanti, i Nostri pare imbriaghi. Ce prova in tute le maniere el Mantuva, e ala fine ce riesce ntéla magnera più rucambulesca, cu na deviaziò che fa pijà al palò na traietoria imprevedibile e se ‘nfila in fondo al zzacu. In quel mumento, avémo visto le streghe. Tacati cule rechie ale radiuline, cuminciamo a sentì i risultati che ariva daj altri campi, e che ancora nun cundàna l’Ancona ala luteria dei playout.

La cosa che mi fa più ridere è quando per lavoro devo andare in Ancona: di tanto in tanto capita. Giro tutta Italia, non sono un tipo da scrivania io. Ogni volta che viaggio, guardo l’altro binario parallelo al mio e penso che quei binari dopotutto sono la salvezza. Il binario rappresenta il territorio, dove c’è un territorio c’è un Cliente da incontrare, da andare a trovare, con cui parlare. E’ l’ultima cosa che potrà fare un cinesino o un indiano che vuole rubarti il lavoro. E’ la salvezza, è il “Carpathia” che ha raccolto i naufraghi del Titanic, infreddoliti e li porta a destinazione avvolti in una coperta. Però mica è una cosa seria, soprattutto quando vado a lavorare in Ancona. Mi sembra di confondere i mondi. O il passato o il futuro, che c’entra il presente?

 

 

Cus’avrà penzzato, Mastronunzio, quanto ha pijato quel palò a metà campo, se l’è purtato avanti per trenta metri, ha fato fòri a dò difenzori cume birili, stava per cascà e po’ na fraziò de segondo dopu quantu ha visto el palò che andava a gunfià la rete? Avrà penzzato, me toca sempre fa tuto a me, sò sempre io che me pijo sta squadra ntéle mà ntj mumenti pegiori! A gnente, invece, avémo penzato, nialtri setemila che urlami int’un zegondo de gioia travulgente tuta la passiò dela vita! E’ lù, è ‘l più grande atacante de tuti i tempi, Salvatore de nome e de fato, el Capitano, è lù che cià salvato ancora, e stavolta con un gol fantastigo!

Sono in una barca a remi, al Passetto. E’ così che voglio morire. Pian piano mi addormento, se mi risveglio in Paradiso mica mi accorgerò della differenza. Brutta storia quando cominci a pensare alla morte. Mia madre dice che quando inizi a ricordare è perché stai invecchiando. E pensare che invece io ho ricordato tutta la vita, anche quand’ero ragazzo! Però alla morte comincio a pensarci solo adesso. E come sarebbe bello, al Passetto!

 

 

Al triplice fischio nun pudeva mancà la Marcia del’Aida. Ma, e aquì se vede la classe, no quela nurmale del disco, ma quela sunata dal vivo da ‘n fiuléto de dodici ani, cule stonature e tuto, mentre el publico nostro festégia la salvéza. Salvéza contru tuti queli che ce vòle male, contru na Sucietà sgangherata che nun cià ‘n boco, contru queli che ce vuleva retrucessi ancora prima de cunmincià, contru queli che diceva che l’Ancona era na favola fenita.

C’è gloria per tuti, per Salviò e pr’i giugatori, ma sopratuto per lù, el più grande: Salvatore Mastronunzio.

Ha gli occhi lucidi anche questo eterno ragazzo, mentre la gente intorno a lui festeggia. Gli passa davanti il film di tutta la vita. Una vita senza il presente. Una vita di certezze passate e una di certezze future. Meno male che ci sono quelle magliette rosse!

 

 

E’ lì n’antra volta cume ‘n ciamboto, sto fjolo che nun diventa mai grande, mentre tut’ intorno la gente fa festa. Jé passa davanti el filme de tuta la vita. Per lù c’è solo ricordi e speranze. Ieri e dumà. E menumale che c’è quele majete roscie!

GIUGNO 2010


Adè, se te le sei pèrze, vàte a lège qul'altre pontate dela

STORIA DEL'ANCUNETANA


Quantè belo, gente mia, a fà el tifo pelAncona!


Testo in vernacolo © 2002 AnconaNostra.com & Piero Romagnoli e Sauro Marini